Da anni il teatro è uscito dai suoi classici spazi, trasformando ogni luogo del vivere in possibile palcoscenico. Spesso però ha scelto una via breve, credendo all’autonomia dell’arte e alla sua presunta autosufficienza. Ma ogni cambio d’ambiente richiede un balzo evolutivo senza il quale si rischia l’estinzione di sé o il sopruso dell’altro.
Si conducono laboratori espressivi, artistici, sociali, nelle scuole. Si opera con la normalità e la diversità, con il disagio e la diversa abilità. E poi si entra in carcere, in ospedale, in case di riposo, in psichiatria. Nelle comunità terapeutiche si affronta la dipendenza. Si attiva la gente nelle fabbriche, nelle aziende, nei centri sociali, nelle strade. Tutto ciò pensando che basti il sapere del teatro di ricerca. Regna il pressapochismo o, quando va bene, la buona esperienza.
Infine, il principio di prestazione e della produzione, asse portante dell’arte teatrale, costringe ancora troppo i percorsi espressivi e creativi personali verso dimensioni esibizionistiche, a scapito dei più e dentro la più classica trappola narcisistica.
Il Teatro degli Affetti nasce da un impulso etico-estetico fondamentale: individuare un modello rigoroso dell’agire teatrale che legittimi l’azione di ciascuno e tuteli i soggetti coinvolti, depotenziando il potere del professionista dell’arte e in particolare del regista. L’intento diventa allora quello di assumere un metodo che, sviluppato attorno alla dimensione del processo, permetta l’autentico esprimersi delle capacità creative di ciascuno.
“Quando operiamo con il teatro fuori dal teatro è necessario assumere strumenti più complessi, amplificati da ricerche attinenti alle scienze umane. Ciò non con il fine di studiare meglio la dimensione dell’attore e del teatro, ma per costruire più elevati strumenti di lavoro per l’uomo-non-attore. Un teatro per l’uomo-non-attore si misura quindi dalla sua capacità di sviluppare la posizione del partecipante verso percorsi di autonomia espressiva e creativa sempre più elevati. Questo ha origine dalla funzione del conduttore e dalla possibilità che il partecipante accetti di assumere un ruolo gradualmente più responsabile e meno difeso dagli orpelli della stereotipia teatrale”.2